Poco tempo fa, ho illustrato in un breve video i principali problemi di Facebook, il social network più utilizzato al mondo.
Dall’inizio del 2019, i dati provenienti dalle istituzioni e dalle società di consulenza incaricate di analizzare il mercato dei social evidenziano come, negli ultimi mesi, la creatura di Zuckerberg dia chiari segni di cedimento.
All’abbandono da parte di intere fasce generazionali (in particolare gli adolescenti), si sta aggiungendo quello di chi ha iniziato a realizzare come Facebook « usi » per il proprio interesse economico (e non solo) la fiducia degli utenti.
E se da un lato il web ci ha abituato a parabole molto rapide (basta pensare a Second Life o MySpace), dall’altro sorge il problema di individuare un’alternativa a Big F, capace di evitare i pericoli ed i difetti di un social orientato al business, ma anche in grado di permettere una socialità on-line alla quale, ormai, non sappiamo più rinunciare.
L’esigenza maggiore rimane quella delle garanzie sui dati personali.
La proprietà delle informazioni che condividiamo sul web deve rimanere nelle mani degli utenti, anziché trasformarli in fornitori non remunerati.

In questo caso, le soluzioni arrivano dalle piattaforme basate su software open-source, svincolate dalla filosofia delle grandi corporation e create/gestite volontariamente da istituzioni e/o organizzazioni no-profit, capaci di tutelarne la sicurezza e l’indipendenza.
Negli ultimi anni, non sono stati pochi gli esempi di questo tipo che sono andati sviluppandosi. Basta pensare a Mastodon, alternativa open-source di Twitter.
Ma Facebook?
Sostituire Facebook, oggi, è un po’ come chiedere a qualcuno di sostituire, dalla sera alla mattina, i prodotti della Coca-Cola con qualcosa di decisamente più salutare.
Un’impresa molto difficile, ma nella quale diventa determinante il senso di responsabilità e la consapevolezza degli utenti.
Per quella che è la mia esperienza, consiglio due possibili soluzioni.
La prima (e la più valida) è DIASPORA*.
Diaspora* è stata creata nel 2010 da quattro studenti della New York University, che avevano intuito i limiti strutturali di Facebook e hanno iniziato a sviluppare una piattaforma open-source in grado di rappresentarne un’alternativa valida ed affidabile.
A differenza della creatura di Zuckerberg, Diaspora* non accumula i dati degli utenti nei propri server, appropriandosene.

La piattaforma funziona come un sistema di reti condivise, in cui anche i singoli utenti possono trasformarsi in « nodi » (pods) e tutte le informazioni condivise restano di proprietà e sotto il controllo dell’utente.
Diaspora*, quindi, funziona come un sistema globale composto da tanti piccoli Facebook collegati tra loro, permettendo ad ogni rete locale di svilupparsi in base all’area geografica, piuttosto che alla lingua ecc ma continuando a dialogare con tutti gli altri nel mondo.
Una particolarità importante di Diaspora*, peraltro, è che permette di condividere i propri post anche su Facebook, Twitter, Tumblr ed altri social network « commerciali ». In questo modo, si può guarire progressivamente dalla « dipendenza » dai grandi network, costruendo un proprio ambiente condiviso basato su una reale privacy personale.
Una seconda alternativa a Facebook è rappresentata da ELLO.
In questo caso, il principio di funzionamento è analogo a Diaspora*, ma il network è orientato in maniera sostanziale verso la condivisione di contenuti creativi, in particolare grafica e fotografia (ultimamente anche musica ed altro).
Una piattaforma, dunque, dedicata soprattutto a chi ama questo tipo di post e che, magari, ha interesse a diffondere a livello globale le proprie creazioni.

Quali sono i limiti di queste due alternative?
Come ogni altra forma di aggregazione umana, che sia concreta o virtuale, più persone partecipano al gioco più il gioco si fa ricco per tutti.
Diaspora* e, soprattutto, Ello (che è più recente) sono ancora « giovani » e basate su un approccio attivo da parte dell’utente. Dunque, più « faticoso« , si è parte integrante dello sviluppo delle piattaforme. Nel bene e nel male, non c’è Mark Zuckerberg che ha già apparecchiato la tavola, insomma.
D’altra parte, si tratta di fare una scelta: in questo caso la gratuità del servizio non si paga con i propri dati personali, ma con la pazienza e la determinazione di voler costruire un’alternativa democratica ad un sistema di sfruttamento.
Il mondo dei social network è in forte fibrillazione. Lo stesso annuncio di Google, di porre fine all’esperienza (infelice) di Google+ ne è una prova evidente.
L’alternativa vera è sempre e solo quella di pensare (e decidere) con la propria testa, informandosi e restando curiosi.
Perché, come dice il saggio, « se qualcosa di bello ti viene offerto gratis, vuol dire che il prodotto, probabilmente, sei tu.«
Per avere maggiori informazioni: info@marcobena.eu